Le Médiéviste et l’ordinateur
Le Médiéviste et l’ordinateurHistoire médiévale, informatique et nouvelles technologies
n° 42 (Printemps 2003) : La diplomatique

« Panorama » de l’utilisation de l’informatique
par les diplomatistes italiens

Michele Ansani
mans@unipv.it
Università di Pavia

È difficile, oggi, misurare il ‘peso’ che l’informatica esercita nelle pratiche di ricerca dei diplomatisti italiani. Certamente, se ci limitiamo al dato strumentale, all’impiego cioè di software per la video-scrittura o dell’Internet per la consultazione di cataloghi e meta-cataloghi bibliografici (o, naturalmente, per lo scambio di informazioni mediante la posta elettronica), in nulla essi – probabilmente — differiscono dai colleghi europei o da quelli di altre discipline ; si tenga poi conto che l’accesso alle risorse finanziarie per la ricerca erogate dal MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) è da alcuni anni disciplinato da procedure esclusivamente telematiche. Altro è il discorso quando si voglia prendere in considerazione — e misurare, e valutare — il mutamento che le tecnologie digitali avanzate hanno prodotto, o stanno producendo, o produrranno, in futuro nel rapporto tra gli studiosi e gli oggetti della disciplina (i « documenti »), e soprattutto tra essi (gli studiosi italiani di scienza del documento) e le forme di elaborazione e messa in circolazione dei risultati dell’attività di ricerca. Misurare e valutare, però, presuppone un’indagine a tappeto, e l’indagine presuppone a sua volta la messa a punto di un questionario (e una certa chiarezza sulle questioni da porre) : a ciò ho preferito rinunciare, da un lato perché l’istantanea che ne sarebbe derivata avrebbe rischiato di ingrigire e sfumare in tempi brevi ; dall’altro perché, sotto certi aspetti, ritengo ancora ben lontano dall’essere chiaramente e comunemente percepito il quoziente di potenziale miglioramento che l’informatica può offrire alle condizioni della ricerca umanistica in generale e dunque anche di quella storico-documentaria. Limiterò questo contributo, pertanto, ad alcune brevi considerazioni, completate da un (altrettanto breve) censimento delle iniziative italiane di ambito diplomatistico a dimensione digitale.

Occorre anzitutto dire che, nella descrizione ufficiale dei compiti e dei contenuti della disciplina (ricordo che gli studiosi di diplomatica, nell’Università italiana, sono raggruppati in un settore di cui fanno parte anche gli specialisti di paleografia greca e latina e di codicologia), ovvero nella cosiddetta « declaratoria » del settore scientifico-disciplinare, non compare alcun cenno all’informatica e alle sue metodologie. A differenza (e pare ovvio) di quel che troviamo nella declaratoria del settore di archivistica, biblioteconomia e bibliografia. È come dire che un diplomatista, ufficialmente, debba rinunciare alle metodologie informatiche per incrementare e diffondere le proprie conoscenze ? Certamente no [1]. È, tuttavia, un piccolo ma significativo segnale.

Difatti il diplomatista si occupa, soprattutto, di testi. Certamente, esercita il proprio spirito critico anche su ciò che sta intorno ai testi (il contesto archivistico e storico-istituzionale, l’ordinamento giuridico) e li integra (segni, simboli) e li veicola, ma fondamentalmente spende il proprio tempo a meditare (per capirli, per trascriverli, per fornirne un’edizione critica, applicando metodi e procedure consolidate) sui testi. E com’è noto, negli ultimi anni, innumerevoli riflessioni, commissioni, conferenze internazionali sono state dedicate al tentativo di regolare un rapporto concreto e fecondo tra informatica e testi. Il dibattito sulla codifica testuale, la Text Encoding Initiative, e se vogliamo anche le nuove frontiere dell’ipertesto : nel suo insieme, la comunità dei diplomatisti italiani (in questo tutt’altro che isolata) ha manifestato un sostanziale disinteresse nei confronti di questioni e problematiche che si venivano e si vengono sollevando, restando prevalentemente ancorata alla tradizione e alle sue inerziali pratiche scientifiche e accademiche [2].

Le ragioni di questo distacco sono molteplici, e costituiscono un dato culturale non trascurabile. Dovessimo ipotizzarne un’origine, un episodio significativo, risaliremmo al 1975, quando alla ben nota Table Ronde CNRS organizzata dall’École Française di Roma e dall’Istituto di Storia medievale dell’Università di Pisa [3] intervenne Alessandro Pratesi, senz’altro uno dei più autorevoli diplomatisti italiani del xx secolo. Può essere utile riproporre l’apertura di quell’intervento :

« L’impressione che ho ricevuto… è che gli storici — o quanto meno alcuni storici — si attendono dall’informatica molto più di quanto essa possa effettivamente dare, richiedano cioè, anche in un settore quale il nostro, così lontano e diverso dalle cosiddette scienze esatte, risposte valide non soltanto sul piano della semplice informazione ma perfino su quello dei risultati della ricerca scientifica. Ma quali mai risultati è lecito attendersi dall’elaboratore elettronico se, per la natura stessa della nostra disciplina, non siamo in grado di fornire a una macchina siffatta dati univoci e matematicamente certi ? » [4].

Questo era il presupposto di un’argomentazione che, breve e incalzante e supportata da tre o quattro esempi concreti, così si concludeva :

« Risposte soddisfacenti da un trattamento improntato all’informatica delle fonti documentarie medievali, relativamente alla loro forma diplomatica e giuridica, si potrebbero conseguire soltanto con una memorizzazione dei documenti in extenso : ma, come è stato già autore­volmente osservato, una soluzione di questo genere sarebbe estremamente gravosa in fase di registrazione ed eccessivamente complicata in fase di consultazione, ossia del tutto negativa in termini « economici ». E’ perciò mia convinzione che lo storico non possa attendersi dall’informatica risposta alcuna, correlata alla forma diplomatica e giuridica dei documenti, che non sia parziale e suscettibile di avere in sé un largo margine di errore… Lo storico potrà tuttavia richiedere all’informatica uno strumento prezioso di lavoro, quale può essere un buon Index nominum et rerum notabilium, insolitamente ricco, date le capacità ricettive degli elaboratori elettronici… :  è moltissimo per chi consideri quali e quante opere monumentali ci abbiano lasciato gli storici di ieri rileggendo uno per uno, con pazienza ed umiltà, centinaia e centinaia di documenti » [5].

è evidente come siano datate (e facilmente contestualizzabili) le affermazioni di Pratesi. In un quarto di secolo e poco più l’informatica è diventata un’altra cosa ; identico giudizio è difficile formulare per la diplomatica [6]. Ma nel 1975, età poco più che pionieristica per l’informatica applicata alle discipline storiche e testuali, Silio Scalfati (altro diplomatista italiano di chiara fama) già da un po’ trascriveva carte notarili pisane su schede perforate, producendo « liste-testo », elenchi di omografi e concordanze lemmatizzate, elenchi di frequenze, indici, correlazioni e contesti ; il tutto, nel quadro di un progetto di edizione sistematica delle pergamene pisane inedite relative ai secoli compresi fra l’viii e il xii  e di studio degli atti notarili, promossi da Cinzio Violante [7]. Operazioni talmente dispendiose, in termini economici e di tempo (come Pratesi aveva rilevato), che vennero presto accantonate ; e in ogni caso, come lo stesso Scalfati rimarcava, l’elaborazione elettronica dei dati desunti dalle carte, una volta immagazzinati e correlati, non sarebbe stata esclusivamente funzionale alla ricerca diplomatistica : « gli studi di storia economica, sociale, istituzionale e religiosa… potranno farsi con profitto ancora maggiore… mediante l’ausilio degli ordinatori elettronici e sulla base di programmi elaborati in funzione delle diverse esigenze dei ricercatori » [8].

Non mi risulta che, tra la metà degli anni ’70 e tutti gli anni ’90 (gli anni di Internet, di HTML, di TEI e di XML) la discussione, in Italia e tra gli specialisti della documentazione, sia mai tornata d’attualità.  Accennavo, poco sopra, alla possibile fecondità di un incontro tra linguaggi avanzati di rappresentazione digitale dell’informazione testuale e critica documentaria (soprattutto in funzione dell’edizione — dell’edizione digitale, s’intende — dei testi). A tutt’oggi, è abbastanza semplice verificare come due ordini di difficoltà limitino la piena assunzione del digitale e dei suoi strumenti entro un orizzonte « normale » di pratiche e diffusione della ricerca. Anzitutto — con riferimento all’Internet quale 'luogo' di deposito del sapere — ostano le questioni legate (anche in campo accademico) alla debolezza dell’editoria digitale e alla normativa sulle pubblicazioni elettroniche : non è ancora comune la percezione che la svolta c’è stata, sancita da esperienze in fase di consolidamento [9]. In secondo luogo, la nozione di « codifica testuale » — con tutto ciò che di non solo meccanico comporta — rimane sostanzialmente indigesta per menti abituate a  lavorare entro un sistema che non prevedeva ulteriori mediazioni fra lo studioso e i suoi testi. Limiti forse destinati ad essere superati, nel tempo, ma che, allo stato, configurano un difetto di ‘sistema’ che va perlomeno constatato.

All’interno di questo quadro generale, non mi resta che dare conto di alcune specifiche realizzazioni : si tratta di un semplice censimento, non certo di una selezione fra iniziative diversamente valutabili per impatto disciplinare o innovazione di procedure scientifiche. La prima va classificata alla voce « trasloco dei testi » dal supporto cartaceo al supporto digitale. Si tratta della monumentale opera destinata a raccogliere Gli atti del Comune di Milano dei secoli xii e xiii, avviata da Cesare Manaresi nel lontano 1919 e conclusa, pochi anni or sono (1998), da Maria Franca Baroni, con il volume di indice dei nomi di luogo e di persona e dei documenti complessivamente editi. Le migliaia di testi che in poco meno di un secolo sono stati censiti in vari archivi e pubblicati in numerosi (almeno una decina) e ponderosi volumi, dal 2000 sono disponibili e consultabili e interrogabili (con modeste funzioni di ricerca di testo) su due leggerissimi CD-Rom. L’iniziativa, promossa congiuntamente dalla sezione di Studi di paleografia e diplomatica del Dipartimento di Scienze Storiche e della Documentazione storica e dall’Istituto di Storia del diritto italiano dell’Università degli Studi di Milano, per quanto notevole e « conveniente » (il costo dell’edizione elettronica e completa, a quanto mi risulta, è assai inferiore a quello dell’edizione cartacea), non manifesta certamente caratteri di novità scientifica ; testimonia piuttosto della sensibilità di alcuni studiosi (e di alcuni istituti) nei confronti delle tecnologie : lo strumento così prodotto non è sofisticato, ma ha certamente il pregio della completezza, della « trasportabilità » e di una funzionalità adeguata alle competenze informatiche ‘medie’ di un utente ‘medio’ della documentazione medievale.

Viceversa, assai più originale pare l’iniziativa, promossa dal Comune di Vercelli e condotta a termine da Antonio Olivieri (ricercatore di Diplomatica presso l’Università di Torino), che ha prodotto (pure nel 2000) l’edizione digitale su CD-Rom del Liber Matriculae. Il Libro della Matricola dei Notai di Vercelli [10], comprendente registrazioni risalenti ai secoli fra il xiv e il xviii. In questo caso siamo di fronte a un testo inedito, e non a una traslazione di pur preziose reliquie ; siamo di fronte a un progetto certamente ‘locale’ (alcune parti dell’opera sono destinate ad informare un pubblico non esperto, in forma semplice e diretta — e a volte dinamica e interattiva —, sugli usi cronologici e il sistema abbreviativo medievali), ma non privo di aspetti scientificamente rilevanti. Il disco contiene anche la riproduzione digitale e integrale del manoscritto : l’immagine di ciascuna carta, sul monitor, risulta così affiancata dall’edizione del testo corrispondente.  Siamo dunque di fronte a un ipertesto « chiuso », non espandibile : per esempio, non sarà possibile collegare al materiale così assemblato riproduzioni o trascrizioni o regesti di protocolli notarili (degli stessi notai che nel Liber registrano manu propria la data d’ingresso nel Collegium notariorum civitatis Vercellarum e vi appongono il signum di tabellionato). A questo limite occorre aggiungere quello del formato dei dati : i testi sono in formato HTML, e dunque difficilmente esportabili, in futuro, entro una banca dati testuale strutturata e complessa. A ogni modo, se si tiene conto degli obiettivi che un’iniziativa di questo genere si pone, il risultato è apprezzabile. E didatticamente realmente utile : ciò che non sempre, per realizzazioni di questo genere, risulta scontato.

L’edizione del Liber Matriculae è disponibile anche on line su Scrineum [11], un progetto — classificato come periodico elettronico annuale — avviato nel 1999 presso l’Università di Pavia per iniziativa di chi scrive e di altri noti diplomatisti delle Università di Torino, Genova, Milano, Padova. Originariamente, l’idea di Scrineum era sostanzialmente di costituire, da un lato, un luogo di sperimentazione disciplinare orientato principalmente all’edizione digitale di fonti documentarie medievali ; dall’altro, un canale per la rapida diffusione (in forma di ‘anteprima’) di saggistica e contributi di varia natura (ma nell’ambito delle scienze del documento e del libro medievale) comunque destinati a una pubblicazione tradizionale (riviste o atti di convegno). È sotto quest’ultimo aspetto che il disegno — tornerò fra breve sul discorso relativo alle fonti — risulta, oggi, chiaramente superato ; ma l’assenza, in Italia, di una rivista specificamente mirata a costituire un autorevole punto di riferimento « identitario » per la comunità scientifica dei diplomatisti, potrebbe essere supplita, in prospettiva, proprio da Scrineum : una prospettiva condizionata, altrettanto chiaramente, da un passaggio culturale e di mentalità nei confronti delle pubblicazioni elettroniche ‘pure’ nonché dallo sviluppo e dal consolidamento di forme di editoria digitale, in ambito accademico, sul modello di quella dell’Ateneo fiorentino [12] — che ha di recente garantito il salto di qualità di un’iniziativa (Reti Medievali) [13] strettamente collegata a Scrineum e che oggi rappresenta un autentico punto di riferimento per la medievistica digitale.

Scrineum ospita, fra le altre cose [14], un progetto di edizione digitale di fonti documentarie avviato nel 2000 grazie a un cospicuo finanziamento della Regione Lombardia : si tratta del Codice diplomatico digitale della Lombardia medievale (secoli viii-xii[15]. In questo ‘cantiere’ sono già confluite edizioni a stampa « moderne » di cartari e sillogi documentarie , dando forma a un mosaico che, una volta completato, ricomprenderà tutta la documentazione prodotta o tramandata o conservata da archivi di istituzioni (ecclesiastiche e laiche) dell’area considerata, nell’epoca considerata. Naturalmente, gran parte del materiale destinato a comporre il Codice è a tutt’oggi inedito o frammentariamente edito, oppure, in alcuni casi, disponibile in edizioni (antiche e moderne) criticamente non affidabili.

Fine principale di questo progetto è dar vita a un corpus di testi (oltre che a una serie di strumenti di accesso ai testi) codificati adottando la sintassi XML e uno schema di marcatura calibrato da un lato sulle caratteristiche specifiche della documentazione, e dall’altro su quelle che normalmente risultano essere le esigenze (e le categoria di analisi critica) della ricerca diplomatistica. In altre parole, si è compilata ed applicata una DTD di sistema, rinunciando all’adozione delle specifiche TEI o TEI Lite (o alla versione XML di TEI) : limitando dunque la marcatura alle strutture formali (partizioni e sotto-partizioni) del ‘discorso’ documentario, alle funzioni personali giuridico-documentarie, nonché ai dati relativi ai nomi di persona, di luogo e delle istituzioni ; mentre la ricerca avanzata sui testi è affidata all’implementazione di uno strumento (TreSy : Text Retrieval System) già messo a punto presso il CriBeCu (Centro di Ricerche Informatiche per i Beni Culturali) della Scuola Normale Superiore di Pisa, appositamente destinato alla gestione e all’interrogazione di testi marcati con lo standard SGML/XML [16].

Si tratta, in tutta evidenza, di un progetto ad alto grado di sperimentalità. Che, pur mantenendosi rigorosamente all’interno di un’impostazione scientifica tradizionale per quel che riguarda le procedure di lavoro sui testi (la manipolazione digitale dei dati testuali — la codifica — costituisce un’applicazione esplicita dell’analisi documentaria tradizionale : proprio in quanto esplicita e controllata, tuttavia, presuppone una maggiore consapevolezza e una maggiore responsabilità da parte dell’editore), comporta delle incognite legate, da un alto, alle tecnologie – in sostanza alla manutenzione dei testi elettronici e alla loro gestione —, e dall’altro a un processo di trasmissione di saperi combinati, teorici e operativi (l’informatica, la codifica e gli standard di codifica testuale, la diplomatica) che non risulta ancora innescato — né promette di esserlo a tempi brevi — all’interno delle istituzioni accademiche e degli ordinamenti didattici italiani.

Un duplice ordine di incognite che rappresenta la soglia critica, oggi, per qualsiasi traduzione al digitale (non effimera o di circostanza) di pratiche consolidate della ricerca in ambito umanistico. Non a caso, le iniziative che ho qui menzionato, pur ideate e realizzate da specialisti della documentazione medievale, sono state patrocinate e finanziate da enti locali, a testimonianza di una sensibilità nei confronti delle tecnologie telematiche e dell’urgenza di porvi in essere una nuova rete di infrastrutture culturali che, se può essere nei singoli casi (ma non sempre lo è) politicamente calcolata, mostra la grave arretratezza, proprio su questo terreno, delle istituzioni scientifiche tradizionali (specialmente quelle « abitate » dalla comunità umanistica) e la loro latitanza strategica. Una soglia, quella cui accennavo, che sarebbe necessario valicare in tempi non eccessivamente protratti : in caso contrario, anche esperienze modestamente innovative (come quelle menzionate, circoscritte all’impiego di procedure di definizione e trattamento dei dati diverse da quelle tradizionali), apparentemente proiettate sul futuro, rischieranno di rappresentare gli ultimi bagliori di microcosmi disciplinari sempre più periferici, potenzialmente svuotati dall’emergere di nuovi saperi orientati per statuto d’origine all’ibridazione tra tecnologie dell’informazione (e della comunicazione) e tradizioni disciplinari sottratte alla propria memoria e rimescolate (come ingrediente secondario) nella sintesi digitale [17].



[1]. Per la descrizione e la catalogazione dei manoscritti, ma anche per gli studi di paleografia (potenzialmente arricchiti dalla disponibilità seriale di fac-simili digitali delle fonti), l’adozione di strumenti informatici avanzati è prassi tutt’altro che estemporanea o eccezionale: cfr. S. Zamponi, Esperienze di catalogazione di manoscritti medievali in Libro, scrittura, documento della civiltà monastica e conventuale nel basso Medioevo (secoli xiii-xv). Atti del convegno di studio (Fermo 17-19 settembre 1997), Spoleto, CISAM, 1999, p. 471-498 ; A. M. Piazzoni, « Vers une paléographie électronique ? L'expérience de numérisation des manuscrits à la bibliothèque Vaticane : quelques réflexions », in Gazette du livre médiéval, 33, 1998, p. 10-19.

[2]. Cfr. M. Ansani, « Diplomatica (e diplomatisti) nell'arena digitale », in Archivio Storico Italiano, 158, 2000, n. 584 (disp. II), p. 349-379.

[3]Informatique et Histoire Médiévale. Communications et débats de la Table Ronde CNRS, organisée par l’École française de Rome et l’Institut d’Histoire Médiévale de l’Université de Pise (Rome, 20-22 mai 1975), presentés par L. Fossier, A. Vauchez, C. Violante, Roma, École française de Rome, 1977.

[4]Limiti e difficoltà dell’uso dell’Informatica per lo studio della forma diplomatica e giuridica dei documenti medievali, ibid., p. 187.

[5]Ibid., p. 190.

[6]. Si vedano anzi le ironiche e provocatorie osservazioni di P. Rück, « La diplomatique face à la codicologie triomphante », in Gazette du livre médiéval, 17, 1990, p. 2.

[7]. Illustrazione del metodo e dei risultati conseguiti in S.P. Scalfati,  L’utilizzazione del calcolatore elettronico per lo studio degli atti pisani anteriori al secolo xiii, in Informatique et Histoire Médiévale, cit., p. 107-116.

[8]Ibid., p. 113.

[9]. Cfr. al riguardo R. Minuti, « Le incognite della “pubblicazione” on line », in Reti Medievali, I, 2000/1 : http://www.storia.unifi.it/_rm/rivista/forum/Minuti.htm. Si veda anche, dello stesso autore, Le frontiere editoriali,  in Il documento immateriale. La ricerca storica ai tempi del Web, a cura di Guido Abbattista e Andrea Zorzi (= L'Indice dei libri del mese, maggio 2000 ; dossier n° 4), con ampia biblio- e webliografia ; il contributo è on line all’URL : http://lastoria.unipv.it/dossier/minuti.htm.

[10]. Il CD-Rom è distribuito da : Comune di Vercelli-Settore Cultura, C.so Libertà 300, 13100 Vercelli. Tel.: 0161 252622/252766 - E-Mail: cultvc@net4u.it

[11]Scrineum. Saggi e materiali on line di scienze del documento e del libro medievale, Università di Pavia, 1999-. URL: http://scrineum.unipv.it.

[12]. Il sito della Firenze University Press è raggiungibile al seguente URL: http://epress.unifi.it/

[13]. Il sito al seguente URL: http://www.retimedievali.it.

[14]. È utile ricordare, qui, l’Annuario dell’Associazione Italiana dei Paleografi e Diplomatisti. Si tratta della versione on line (con aggiornamenti non sistematici fino al 2000 e oltre) del volume uscito a stampa nel 1996: contiene l’elenco dei soci e — soprattutto — le schede riportanti il curriculum e la bibliografia dei singoli studiosi :
http://lettere.unipv.it/scrineum/AIPD2000.htm .

[15]http://lettere.unipv.it/scrineum/CDLweb/CDL.htm. Oltre alle pagine di presentazione del progetto, disponibili sul sito, si veda M. Ansani, Il « Codice diplomatico digitale della Lombardia medievale » : note di lavoro, in Comuni e memoria storica. Alle origini del comune di Genova, Atti del convegno di studi, Genova 24-26 settembre 2001 (in corso di stampa).

[16]. Informazioni relative al software sono disponibili sul web-site del Centro, al seguente URL : http://www.cribecu.sns.it/analisi_testuale/settore_informatico/tresy/index.html.

[17]. Rimando, per lo svolgimento di questa argomentazione, a M. Ansani, La tradizione disciplinare tra innovazione e nemesi digitale, relazione quadro della sessione dedicata a « La documentazione », presentata al workshop Medium-evo. Gli studi medievali e il mutamento digitale, Firenze 21-22 giugno 2001. Gli atti sono in corso di stampa su Reti Medievali. Un abstract e una presentazione .ppt, insieme a un dossier web- e bibliografico, sono consultabili a partire da
http://www.storia.unifi.it/_PIM/medium-evo/atti/indice.htm
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